Nello scorso 2017 sono stai analizzati i finanziamenti effettuati dalle famiglie italiane. Al primo posto la casa Sembra che la prima preoccupazione per gli italiani sia sempre e comunque avere una casa di proprietà. Ecco che infatti i prestiti concessi per la casa, sia per ristrutturazione che arredamento siano stati rispettivamente il 34,8% e il 15,1%, con un 23,6% di richieste. Al secondo posto l'auto Al secondo posto viene l'auto, acquistata sia nuova che usata, considerata ugualmente importante. I finanziamenti per l'auto sono del 9,3% e del 19,8% rispettivamente per questo motivo. Con percentuali inferiori, troviamo altri prestiti per liquidità (dell'8,9%), per spese mediche (dell'2,3%), per vacanze (dell'1,7%), per organizzare matrimoni o cerimonie (dell'1,2%), e per beni di consumo dell'elettronica e informatica (con lo 0,3%). In media l'importo erogato ammonta per il 2017 a 11.383 euro, e si discosta solo di poco rispetto a quello del 2016 di 11.328 Euro. Percentuali dei prestiti Il 30,1% dei prestiti erogati agli italiani è tra i 5.000 e i 10.000 euro e per tutti la durata è di ca 60 mesi. Geograficamente i prestiti sono più richiesti al Nord (con un 41,7%), rispetto a Sud ( 36,1%) e isole (22,2%). La fascia d’età della gente che li richiede va dai 36 ai 45 anni, seguiti da persone tra 46 e 55 anni e da giovani tra 26 e 35 anni. La condizione fondamenteale per ottenere un finanziamento è comunque quella di avere un lavoro stabile, e l’85,4% dei prestiti erogati è dato a lavoratori con contratto a tempo indeterminato e di una classe di reddito che va tra 20 e 30.000 Euro annui.
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In data 31 marzo 2015 l'Abi (Associazione bancaria italiana) e le Associazioni dei Consumatori avevano siglato un accordo riguardo la sospensione per la quota di capitale del credito per le famiglie che avessero finanziamenti in corso in banca. Proroga Questo accordo lo scorso 21 novembre 2017 è stato prorogato di comune accordo tra ABI e 15 associazioni dei consumatori, per potere dare continuità alle precedenti misure di sostegno alle famiglie in difficoltà riguardo il pagamento delle rate dei loro finanziamenti o mutui in corso. Questo accordo è stato prorogato al 31 luglio di quest'anno. Lo ha comunicato l’Abi. Questa moratoria che viene applicata per 12 mesi sulla quota capitale di un finanziamento – compreso il mutuo prima casa e il credito al consumo – ha interessato già 16.642 famiglie italiane da marzo 2015 fino ad ottobre 2017 . Queste infatti hanno potuto sospendere le rate dei loro finanziamenti per un valore totale di 475 milioni di euro. Liquidità per maggiori famiglie Di conseguenza la maggiore liquidità a disposizione delle famiglie per i 12 mesi di sospensione è stata di 118 milioni di euro. La ripartizione delle richieste di sospensione vede in prima fila soprattutto per i finanziamenti il Nord (con un 35,7%), il Centro (con 23%), il Sud e le Isole (con il 41,3%); per i mutui, ancora il Nord (con 49,3%), il Centro (con 26,4%), Sud e Isole (con il 24,3%). Requisiti Nel dettaglio l'accordo dice che possono chiedere la proroga del pagamento per la quota capitale del finanziamento in corso che sia di durata superiore ai 24 mesi, entro il 31 luglio 2018, i consumatori che fossero in difficoltà per il verificarsi dei seguenti eventi che devono essere successi però nei 2 anni precedenti la presentazione della richiesta: 1) perdita del posto di lavoro che fosse a tempo determinato o indeterminato o di rapporti lavorativi all'art. 409 del cpc; 2) morte; 3) situazione di handicap grave o condizione di non autosufficienza; 4) sospensione o riduzione del proprio orario di lavoro per almeno 30 giorni anche se fossero in attesa di emanazione di provvedimenti di autorizzazione per i trattamenti di sostegno del reddito (come Cig, Cigs, ammortizzatori sociali in deroga etc.). La sospensione per 12 mesi per pagare la quota capitale la possono richiedere anche mutuatari titolari di mutui garantiti da ipoteche su immobili abitazione principale, ma nei soli casi all precedente punto 4). Calo nel manifatturiero Il settore manifatturiero per l'Italia nel mese di dicembre ha avuto un calo.Per il mese passato l’indice PMI manifatturiero scende infatti a 57.4, contro novembre che era a quota 58.3. Gli analisti avevano previsto una salita fino a 58.5. In generale in Italia si è registrato un calo dei consumi e un aumento dei prezzi al consumo da novembre a dicembre del 2017. Inflazione in aumento Secondo i dati Istat, nello scorso dicembre infatti l’indice dei prezzi al consumo è aumentato a 0,4% rispetto a novembre e dello 0,9% su base annua rispetto a dicembre 2016. Nel corso dell’anno 2017 l’inflazione è salita dell’1,2% quindi in aumento rispetto al calo avuto nel 2016 di 0,1%. Il dato riguarda sopratutto consumi energetici e dei generi alimentari freschi, per cui si segnala un rialzo dell'inflazione del +0,7%, aumentata rispetto all’anno precedente quando era al +0,5%. In particolare i rincari riguardano le bollette di luce , acqua e gas e i generi alimentari freschi, per cui a dicembre scorso si è avuto un aumento dei prezzi. La zona Euro Nella zona euro invece l'inflazione a dicembre scorso è scesa come anticipato dagli analisti sul Calendario Economico secondo dati riferiti da Eurostat. L’indice per i prezzi al consumo è salito dell’1,4% a dicembre, rispetto al +1,5% di novembre. Il dato è in linea con le aspettative degli analisti ma è lontano dal target della BCE che sarebbe intorno al 2%. L’inflazione armonizzata, sale dello 0,9% all'anno, come del resto nel mese precedente. Gli analisti, si aspettavano un aumento dell’1,0%. Una situazione molto oscura quella che vede protagonista il paese italiano nel suo complesso: vediamo di cosa si tratta la previsione negative che vede protagonista il nostro Paese. L'Italia, il fanalino di coda dell'Europa Le tragiche previsioni che vennero effettuate da parte dell'Unione Europea, studiando i dati di tutti e ventotto i paesi facenti parte dell'organizzazione, si sono realizzate ben prima del previsto. La previsione di crescita limitata per l'Italia nacque diversi anni fa, circa attorno il 2015, visto che l'Italia si piazzò in terzultima posizione per quanto riguarda la crescita economica della nazione. Purtroppo tale dato peggiorò nel corso dell'anno successivo, quando l'Italia divenne penultima, davanti solo la Grecia, fanalino di coda della classifica. Secondo l'Unione Europea l'Italia sarebbe diventata ultima solo nel 2018 ma, questo dato, si è tramutato in realtà con un grosso anticipo già nel 2017. Cosa ha comportato tale dato Il dato negativo nasce da un insieme di situazioni che gravano sulla popolazione stessa, che sembra essere sempre più propensa a limitare i consumi stessi. Causa tassazioni elevate ed ovviamente altre problematiche similari, come ad esempio aumento dei prezzi dell'energia elettrica e non solo, l'Italia non riesce ad ingranare e ad aumentare il suo PIL in maniera costante ed a superare anche quei paesi europei che si trovano in una situazione economica tutt'altro che vantaggiosa. La previsione di crescita limitata per l'Italia ha anche un valore ben preciso: se tutti i paesi europei della Comunità supereranno il punto percentuale, l'Italia sarà sotto tale valore, rendendo quindi la situazione meno semplice da affrontare per lo stesso paese. Pertanto l'Italia dovrà essere in grado di evitare che possano essere dei crolli veri e propri che potrebbero comportare delle situazioni negative complessive che riguardano appunto il suolo italiano stesso sotto il profilo economico. Buoni dati ma non soddisfacenti A bilanciare questo dato negativo vi è quello che consiste nel semplice fatto che tutto gli Stati Europei potranno superare il punto percentuale di crescita. Dal 2008 non accadeva che l'economia europea collettiva raggiungesse un traguardo similare, che segna quindi la voglia di uscire dalla crisi economica che potrebbe essere sempre più devastante per l'talia stessa. Per evitare che possano realizzarsi tutte le diverse e cupe previsioni di crescita limitata per l'Italia, il Governo avrà il suo bel da fare per evitare che tale situazione possa essere per davvere realizzabile e che quindi possa mandare completamente in tilt l'intero paese e farlo sprofondare nuovamente nella crisi. Secondo i rapporti Ocse, in Italia la tassazione degli stipendi per i lavoratori dipendenti è tra le più alte in Europa. L'ultima rilevazione (che risale al 2014) attesta al 48,2% il peso del cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti. La situazione italiana L'Italia è al sesto posto tra i Paesi Ocse in materia di tassazione degli stipendi. I dati parlano di prelievi pari al 48,2% sul salario di un lavoratore dipendente che non costituisce nucleo familiare (lavoratore single). Anche nelle classifiche Ocse relative al prelievo sui nuclei familiari l'Italia detiene una una triste posizione di testa, con il suo 39% di prelievo fiscale che la porta al quarto posto tra gli stati con maggiore tassazione sui cosiddetti nuclei familiari monoreddito. Chi è responsabile dell'elevata tassazione Tra le cause di questo scenario, più che dal sistema-Stato, la tassazione degli stipendi è dovuta alle addizionali locali: gli enti locali sono responsabili per più due terzi del recente incremento della tassazione. Tra stipendio lordo e stipendio netto: cosa accade? Facendo riferimento a uno studio della Cgia (Associazione Artigiani Piccole Imprese) di Mestre, esaminiamo da vicino la tassazione sugli stipendi per due lavoratori-tipo. Nel primo caso, prendiamo ad esempio un operaio con uno stipendio mensile lordo di 1.791 euro, che corrispondono a 1.280 euro di netto. La differenza di 323 euro consiste nella trattenuta Irpef e nelle addizionali locali. 170 euro andranno invece nei contributi previdenziali del lavoratore. L'imprenditore dell'azienda in cui lavora, poi, versa allo stato una somma di 566 euro di contributi. Fatti tutti i conti, l'azione del cuneo fiscale grava per 979 euro, con una percentuale di incidenza del cuneo fiscale del 41,5%. Se sommiamo la tassazione sullo stipendio dell'operaio alla somma versata in contributi dal datore di lavoro, otteniamo uno stipendio di 2.357 euro, che possiamo considerare come il costo effettivo del lavoro di un'operaio iraliano con uno stipendo minimo basso. Nel secondo caso, lo studio della Cgia prende ad oggetto lo stipendio di un lavoratore dipendente a reddito medio, del valore di 1.709 euro netti al mese. La somma che il lavoratore paga di contributi Irpef e addizionali locali è di 539 euro, mentre 236 sono gli euro versati agli istituti di previdenza. La sua retribuzione lorda mensile è di 2.484 euro, 775 euro in meno dello stipendio che il dipendente realmente percepisce. Su uno stipendio a reddito medio, il datore di lavoro paga dei contributi pari a 729 euro, che sommati ai 775 euro del calcolo precedente, danno 1504 euro. Se sommiamo questa cifra allo stipendio netto del lavoratore, viene un costo del lavoro del dipendente pari a 3.209 euro, che, come è ovvio, le mani del lavoratore non toccheranno mai. Conclusioni Da quanto emerge da questi due esempi, il recente taglio dell'Irap e il bonus di 80 euro elargito da Renzi costituiscono solo una cura palliativa per un sistema tassativo che avrebbe bisogno (come fanno notare i dati Ocse) di ben altre riforme, per alleggerire il peso fiscale sui lavoratori tra i più tassati in Europa. La crescita economica è avvenuta ad un ritmo rispettabile nel secondo trimestre secondo dati preliminari, grazie a espansioni nei settori industriale e dei servizi. Gli ultimi indicatori suggeriscono che il slancio dell'economia continua nel terzo trimestre, con il PMI manifatturiero rimane saldamente in territorio espansivo nel mese di luglio e la fiducia delle imprese e dei consumatori aumenta in agosto. L'aumento dell'ottimismo dei consumatori è tradotto in una volontà di spesa, che si è riflesso in un pick-up nelle vendite al dettaglio negli ultimi mesi. Sul fronte esterno ci sono anche alcuni segni positivi; sollecitata dalla solida crescita delle economie dei principali partner commerciali della zona euro, l'avanzo corrente di conto corrente in Italia è salito notevolmente . Situazione economica Tuttavia, la situazione economica è lungi dal sicuro. La crescita del PIL è persistente in ritardo rispetto alla media dell'Eurozona e l'economia è afflitta da un alto livello di debito pubblico, nonché da debolezze strutturali nel mercato del lavoro e nel sistema bancario. Quest'ultimo è particolarmente preoccupante e rende il paese vulnerabile all'eventuale ritiro di alcuni stimoli monetari della BCE nei prossimi anni. Economia italiana L'Italia è la nona economia più grande del mondo. La sua struttura economica si basa principalmente sui servizi e sulla produzione. Il settore dei servizi rappresenta quasi tre quarti del PIL totale e impiega circa il 65% del totale impiegato del paese. Nell'ambito del settore dei servizi, i principali contributori sono i settori all'ingrosso, vendita al dettaglio e trasporti. L'industria rappresenta un quarto della produzione totale italiana e impiega circa il 30% della forza lavoro totale. Il settore manifatturiero è il più importante sottosettore del settore industriale. La produzione nazionale è specializzata in beni di alta qualità ed è gestita principalmente da piccole e medie imprese. La maggior parte di essi sono imprese a conduzione familiare. L'agricoltura contribuisce alla quota residua del PIL totale e impiega circa il 4,0% della forza lavoro totale. Il paese è diviso in una parte settentrionale altamente industrializzata e sviluppata, dove viene prodotto circa il 75% della ricchezza nazionale; e una parte inferiore meno sviluppata, più dipendente dall'agricoltura. Di conseguenza, la disoccupazione nel nord è inferiore e il reddito pro capite in più rispetto al sud. Instabilità politica L'Italia soffre di instabilità politica, ristagno economico e mancanza di riforme strutturali. Prima della crisi finanziaria del 2008, il paese era già in discesa a bassa velocità. Infatti, l'Italia è cresciuta in media dell'1,2% tra il 2001 e il 2007. La crisi globale ha avuto un effetto deteriorante sull'economia italiana già fragile. Nel 2009, l'economia ha subito una contrazione pesante del 5,5% - il calo più forte del PIL nei decenni. Da allora, l'Italia non ha mostrato una chiara tendenza di ripresa. Infatti, nel 2012 e nel 2013 l'economia ha registrato contrazioni rispettivamente del 2,4% e dell'1,8%. Andando avanti, l'economia italiana si trova ad affrontare una serie di importanti sfide, una delle quali è la disoccupazione. Il tasso di disoccupazione è aumentato costantemente negli ultimi sette anni. Nel 2013, ha raggiunto il 12,5%, il livello più alto registrato. Il tasso di disoccupazione ostinatamente alto evidenzia le debolezze del mercato del lavoro italiano e la crescente concorrenza globale. Un'altra sfida è presentata dal difficile stato delle finanze pubbliche del Paese. Nel 2013 l'Italia è stata il secondo debitore più grande dell'Eurozona e il quinto più grande del mondo. Abolizione di Equitalia La legge di Bilancio del 2017 assieme al nuovo decreto fiscale ha abolito Equitalia. Al suo posto però è arrivato un nuovo ente di controllo, che unisce Equitalia con l'Agenzia delle Entrate, per cui i contribuenti che hanno delle cartelle pendenti e non le pagano, avranno un controllo ancora più stringente sui loro beni dato che questo nuovo ente ha una magiore capacità informativa e può setacciare i conti, gli stipendi e le pensioni dei contribuenti tutti. Nuovo ente di riscossione Dal 1 luglio 2017 la nuova Equitalia è stata assorbita dall' Agenzia delle Entrate e adesso ha più libero accesso alle varie banche dati che un tempo erano solo a conoscenza dell’ Agenzia delle Entrate e le può utilizzare “ai fini della riscossione”. Quindi può venire a conoscenza dell'ammontare del denaro nel conto corrente del contribuente, conoscere i suoi rapporti finanziari, l’ammontare del suo stipendio o pensione, conoscere a quanto ammontano i suoi patrimoni immobiliari ecc. in questo modo può arrivare a dei saldi attivi dove imporre la riscossione dei tributi. Accedere alle banche dati Questo nuovo ente può accedere infatti all’Anagrafe tributaria e a tutte le banche dati dell'Inps e Inail, conoscendo quindi i rapporti finanziari dei contribuenti nelle banche, alle poste, presso vari intermediari . Equitalia un tempo poteva sapere che esiteva un conto corrente ma non consocere l'ammontare del patrimonio depositato. Oggi con questo nuovo ente nel 2017 sembra che per i pignoramenti i volumi di riscossione aumenteranno per 483 milioni di euro. Sarà un luglio particolarmente importante per i pensionati di tutta Italia. Non saranno le alte temperature a condizionare i primi giorni estivi, ma le nuove misure di prestazione previdenziale. Con la nuova legge di Bilancio, avranno diritto alla quattordicesima 3,4 milioni di italiani che hanno raggiunto i 64 anni d'età e vantano un reddito che varia tra 1,5 e 2 volte il trattamento minimo. I beneficiari, una misura per i pensionati più poveri A confermare la notizia è stato lo stesso Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, che ha evidenziato sul proprio sito ufficiale l'incremento della misura aggiuntiva e l'estensione della quattordicesima anche a quei soggetti che godono di un trattamento previdenziale fino al doppio di quello minimo. Si tratta di una delle poche buone notizie che negli ultimi anni hanno riguardato proprio le fasce più basse della popolazione. A beneficiare di questa misura saranno infatti i pensionati con più di 64 anni, il cui reddito non supera i 1000 euro al mese, che equivalgono ad una cifra complessiva di 13.049,14 euro - ossia il doppio del trattamento minimo. Ad essere preso in considerazione sarà il reddito individuale complessivo, in cui non è compreso il percepito dal coniuge ed eventuali beni che non costituiscono reddito. La scelta temporale è caduta sul mese di luglio, per consentire ai pensionati italiani di respirare. Gli importi: una boccata d'ossigeno estiva Come era previsto nella misura precedente, l'erogazione avverrà a scaglioni a seconda di quanto già percepito. Chi ha maturato un trattamento previdenziale che non supera i 752 euro al mese per 13 mensilità ha già usufruito della quattordicesima dal 2007 al 2016, ma nel 2017 la quota salirà fino a 437 euro per i lavoratori con 15 anni di contributi, a 546 euro per chi ha fino a 25 anni di lavoro alle spalle e a 655 per coloro che hanno lavorato per oltre 25 anni. Lo scaglione successivo arriva fino a 13.049,14 euro di reddito individuale complessivo, e darà diritto ad una quattordicesima che varierà tra i 336 e i 504 euro. Cambia leggermente la posizione dei lavoratori autonomi. Chi infatti ha sempre lavorato in maniera indipendente dovrà aggiungere 3 anni agli scaglioni contributivi sopra citati. Le modalità di pagamento Anche in questo caso, le variabili sono molteplici. Coloro che rientrano nei requisiti anagrafici entro il 30 giugno riceveranno la quattordicesima d'ufficio, in aggiunta alla mensilità di luglio della pensione, mentre chi compirà 64 anni nel secondo semestre del 2017 beneficerà dell'integrazione nel prossimo dicembre. Resta infine importante sottolineare che tali benefici sono erogati in maniera assolutamente provvisoria. Il criterio di aggiudicazione è infatti al momento il reddito presunto, verificabile nel momento in cui gli enti preposti metteranno a disposizione le informazioni contenute nella dichiarazione dei redditi. Per coloro che già usufruiscono della misura previdenziale farà fede quanto dichiarato nel 2016, mentre per i neo pensionati farà fede la certificazione redditoria del 2017. Alitalia, una delle compagna storiche di volo simbolo del paese italiano che ha scritto pagine di storia, ancora ad oggi non è fuori dal pericolo crisi economica e fallimento.
Da diversi anni a questa parte, infatti, prosegue l'attenta strategia per poter evitare che Alitalia possa perdersi e quindi debba chiudere i battenti. Per evitare che tutto questo possa accadere, il Governo italiano e le banche hanno pensato di creare una sorta di piano B che dovrebbe essere in grado di porre rimedio alla situazione critica per Alitalia stessa. Il prestito Statale dovrebbe quindi essere l'idea che, nel corso degli ultimi giorni, ha preso piede e sta continuando a tenere in tensione e sotto attenzione la situazione della compagnia aerea. Ma questa via deve essere necessariamente analizzata con grande attenzione dato che occorre cercare di trovare un rimedio che possa essere visto come definitivo e permetta di evitare complicazioni di ogni tipologia che, effettivamente, potrebbero danneggiare ulteriormente la compagnia di volo italiana. La strategia dello Stato Proprio per poter evitare che queste complicazioni possano essere presenti, il Governo sta studiando assieme alle due banche Intesa San Paolo e Unicredit, un piano che sia in grado di concludere in maniera positiva la situazione critica per Alitalia. Il prestito statale sarà quindi suddiviso in due parte: la prima verrà finanziata dallo Stato e dalle Banche, che dovrebbe versare circa duecento milioni di euro. La seconda parte risulta essere quella che verrà versata da Etihad, ovvero dagli azionisti della compagnia, che verseranno gli altri duecento milioni di euro. Ma seppur si sia sulla giusta strada per concludere perfettamente tale situazione, pare che lo sciopero previsto per il cinque aprile 2017, dalla durata di 24 ore circa, sia stato confermato da parte dei dipendenti di Alitalia, che non vogliono stare ad attendere oltre e vogliono, invece, conoscere quale sarà il loro futuro in lassi di tempo immediati. I commenti sulla situazione Il precedente incontro tra rappresentati del Governo e di Alitalia ha fatto in modo che la situazione rimanesse sempre molto tesa. Delrio sostiene infatti che la situazione critica per Alitalia non è ancora superata e che si sta lavorando per evitare di perdere un pezzo importante della storia dei trasporti del nostro paese. I rappresentati di Alitalia hanno spiegato che il prestito Statale non deve essere uno strumento che trasforma la compagnia in una low cost ma che questo deve essere utile per poter tornare ad essere competitivi. Previsti inoltre altri tagli secondo gli amministratori della compagnia, cosa che potrebbe complicare ulteriormente questa particolare situazione abbastanza delicata e che deve essere risolta, sempre secondo il loro punto di vista, in maniera rapida e concreta. STORIA
I voucher, uno dei temi più dibattuti in questi ultimi giorni, sono ormai destinati a scomparire dallo scenario, per l'entrata in vigore, il 18 Marzo 2017, del Decreto Legge 25/2017 che ne sancisce l'abolizione (Gazzetta Ufficiale del 17 Marzo). Niente paura, quelli richiesti entro il 17 Marzo potranno essere utilizzati fino al 31 Dicembre 2017. Ma da dove derivano questi pagamenti divenuti fin troppo usuali? Occorre risalire a più di dieci anni fa, quando al governo era in carica Berlusconi, insieme a Roberto Maroni, in qualità di Ministro del Lavoro. L'intento era quello di sfavorire il "lavoro pagato in nero", in maniera tale che i collaboratori occasionali, potessero avere, in questo modo, i contributi per la pensione ed un'assicurazione sul posto di lavoro. Inizialmente, l'uso dei voucher era limitato ad alcune ristrette categorie, per un compenso annuale di 3000 euro (massimo), per ogni lavoratore (art. 72). Nel 2005, la soglia è passata da 3000 a 5000 euro, complessivi. Successivamente, con la Legge n. 191 del 23 Dicembre 2009, furono ampliate le categorie lavorative che prevedevano il pagamento tramite voucher. DAL GOVERNO MONTI A RENZI Cambiamenti massicci vennero fatti sopratutto tra il governo Monti e quello di Renzi. Ce lo spiega molto chiaramente Graziano Delrio, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, in una puntata del programma ""Otto e mezzo"" trasmesso su La 7 (19 Dicembre 2016). Il Ministro afferma che con la Legge del 28 Giugno 2012 n.92, venne di fatto concesso a tutti svolgere attività che prevedevano il pagamento mediante voucher. Successivamente, con la cosiddetta ""Job Acts"", durante il governo di Renzi, il tetto totale annuo è arrivato a 7000 euro. Nella pratica, le imprese hanno preferito utilizzare come modalità di assunzione i voucher, invece di creare posti di lavoro stabili. Attraverso uno studio condotto dall'INPS (Istituto Nazionale di Previdenza Sociale), si può osservare che, nel 2008, i lavoratori retribuiti con queste modalità ammontano a 24.437, mentre nel 2015 il numero diventa esorbitante: 1.392.906! L'INPS, inoltre, mostra che l'aumento si è verificato principalmente a partire dalla Legge del 28 Giugno 2012 del Ministro Fornero. Delrio aggiunge che la causa di questa problematica non si deve far risalire a Renzi, che ha ampliato l'utilizzo dei voucher a ristrette categorie, ma al governo Monti, come sottolineano i dati forniti dall'INPS. QUALI SONO LE PROSPETTIVE FUTURE? L'abolizione dei voucher del 18 marzo 2017 (Decreto Legge 25/2017) lascia sostanzialmente le famiglie e le imprese sprovvisti di strumenti per retribuire i lavoratori occasionali. In questi ultimi giorni, infatti, il Governo ha promesso di lavorare, nei prossimi mesi, ad una soluzione definitiva: ""nuovi voucher"" con caratteristiche più restrittive e precise, per evitare gli abusi avvenuti in questi ultimi anni. Saranno metodi di pagamento regolamentati in maniera specifica, per permettere alle famiglie di pagare regolarmente aiutanti domestici, come insegnanti privati, baby sitter, giardinieri e colf. |