Una situazione molto oscura quella che vede protagonista il paese italiano nel suo complesso: vediamo di cosa si tratta la previsione negative che vede protagonista il nostro Paese. L'Italia, il fanalino di coda dell'Europa Le tragiche previsioni che vennero effettuate da parte dell'Unione Europea, studiando i dati di tutti e ventotto i paesi facenti parte dell'organizzazione, si sono realizzate ben prima del previsto. La previsione di crescita limitata per l'Italia nacque diversi anni fa, circa attorno il 2015, visto che l'Italia si piazzò in terzultima posizione per quanto riguarda la crescita economica della nazione. Purtroppo tale dato peggiorò nel corso dell'anno successivo, quando l'Italia divenne penultima, davanti solo la Grecia, fanalino di coda della classifica. Secondo l'Unione Europea l'Italia sarebbe diventata ultima solo nel 2018 ma, questo dato, si è tramutato in realtà con un grosso anticipo già nel 2017. Cosa ha comportato tale dato Il dato negativo nasce da un insieme di situazioni che gravano sulla popolazione stessa, che sembra essere sempre più propensa a limitare i consumi stessi. Causa tassazioni elevate ed ovviamente altre problematiche similari, come ad esempio aumento dei prezzi dell'energia elettrica e non solo, l'Italia non riesce ad ingranare e ad aumentare il suo PIL in maniera costante ed a superare anche quei paesi europei che si trovano in una situazione economica tutt'altro che vantaggiosa. La previsione di crescita limitata per l'Italia ha anche un valore ben preciso: se tutti i paesi europei della Comunità supereranno il punto percentuale, l'Italia sarà sotto tale valore, rendendo quindi la situazione meno semplice da affrontare per lo stesso paese. Pertanto l'Italia dovrà essere in grado di evitare che possano essere dei crolli veri e propri che potrebbero comportare delle situazioni negative complessive che riguardano appunto il suolo italiano stesso sotto il profilo economico. Buoni dati ma non soddisfacenti A bilanciare questo dato negativo vi è quello che consiste nel semplice fatto che tutto gli Stati Europei potranno superare il punto percentuale di crescita. Dal 2008 non accadeva che l'economia europea collettiva raggiungesse un traguardo similare, che segna quindi la voglia di uscire dalla crisi economica che potrebbe essere sempre più devastante per l'talia stessa. Per evitare che possano realizzarsi tutte le diverse e cupe previsioni di crescita limitata per l'Italia, il Governo avrà il suo bel da fare per evitare che tale situazione possa essere per davvere realizzabile e che quindi possa mandare completamente in tilt l'intero paese e farlo sprofondare nuovamente nella crisi.
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Secondo i rapporti Ocse, in Italia la tassazione degli stipendi per i lavoratori dipendenti è tra le più alte in Europa. L'ultima rilevazione (che risale al 2014) attesta al 48,2% il peso del cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti. La situazione italiana L'Italia è al sesto posto tra i Paesi Ocse in materia di tassazione degli stipendi. I dati parlano di prelievi pari al 48,2% sul salario di un lavoratore dipendente che non costituisce nucleo familiare (lavoratore single). Anche nelle classifiche Ocse relative al prelievo sui nuclei familiari l'Italia detiene una una triste posizione di testa, con il suo 39% di prelievo fiscale che la porta al quarto posto tra gli stati con maggiore tassazione sui cosiddetti nuclei familiari monoreddito. Chi è responsabile dell'elevata tassazione Tra le cause di questo scenario, più che dal sistema-Stato, la tassazione degli stipendi è dovuta alle addizionali locali: gli enti locali sono responsabili per più due terzi del recente incremento della tassazione. Tra stipendio lordo e stipendio netto: cosa accade? Facendo riferimento a uno studio della Cgia (Associazione Artigiani Piccole Imprese) di Mestre, esaminiamo da vicino la tassazione sugli stipendi per due lavoratori-tipo. Nel primo caso, prendiamo ad esempio un operaio con uno stipendio mensile lordo di 1.791 euro, che corrispondono a 1.280 euro di netto. La differenza di 323 euro consiste nella trattenuta Irpef e nelle addizionali locali. 170 euro andranno invece nei contributi previdenziali del lavoratore. L'imprenditore dell'azienda in cui lavora, poi, versa allo stato una somma di 566 euro di contributi. Fatti tutti i conti, l'azione del cuneo fiscale grava per 979 euro, con una percentuale di incidenza del cuneo fiscale del 41,5%. Se sommiamo la tassazione sullo stipendio dell'operaio alla somma versata in contributi dal datore di lavoro, otteniamo uno stipendio di 2.357 euro, che possiamo considerare come il costo effettivo del lavoro di un'operaio iraliano con uno stipendo minimo basso. Nel secondo caso, lo studio della Cgia prende ad oggetto lo stipendio di un lavoratore dipendente a reddito medio, del valore di 1.709 euro netti al mese. La somma che il lavoratore paga di contributi Irpef e addizionali locali è di 539 euro, mentre 236 sono gli euro versati agli istituti di previdenza. La sua retribuzione lorda mensile è di 2.484 euro, 775 euro in meno dello stipendio che il dipendente realmente percepisce. Su uno stipendio a reddito medio, il datore di lavoro paga dei contributi pari a 729 euro, che sommati ai 775 euro del calcolo precedente, danno 1504 euro. Se sommiamo questa cifra allo stipendio netto del lavoratore, viene un costo del lavoro del dipendente pari a 3.209 euro, che, come è ovvio, le mani del lavoratore non toccheranno mai. Conclusioni Da quanto emerge da questi due esempi, il recente taglio dell'Irap e il bonus di 80 euro elargito da Renzi costituiscono solo una cura palliativa per un sistema tassativo che avrebbe bisogno (come fanno notare i dati Ocse) di ben altre riforme, per alleggerire il peso fiscale sui lavoratori tra i più tassati in Europa. |